The Last of Us: cosa ci insegnano i videogiochi sul futuro del branding

The Last of Us: cosa ci insegnano i videogiochi sul futuro del branding

Indice articolo:


Una volta c’erano i caroselli, poi vennero gli spot. Oggi, ci sono i videogiochi. Se un tempo il marketing inseguiva il pubblico nei momenti di pausa, oggi deve sedersi accanto a lui al centro delle emozioni, dove si scatena l’azione.

Qui che entra in gioco "The Last of Us", più che un gioco, un simbolo, uno spunto di riflessione. Non solo un successo videoludico e televisivo, ma un esempio perfetto di come il gaming sia diventato parte integrante dell’universo del branding contemporaneo. 

Questo articolo esplora proprio questo: come i videogiochi - e in particolare "The Last of Us" - abbiano ridefinito le regole del marketing, trasformandosi da passatempo mangia crediti a leva strategica per le aziende del XXI secolo.

The Last of Us

"The Last of Us" è ambientato in un mondo post-apocalittico devastato dalla minaccia delle spore di un fungo mutato, capace di trasformare gli esseri umani in infetti. Joel ed Ellie, i due protagonisti, affrontano un viaggio carico di pericoli, perdite e rivelazioni, in una narrazione che alterna flashback, momenti memorabili ed emozioni crude. Ellie è immune all’infezione, un mistero che nasce da un morso ricevuto da un infetto, mai evolutosi.

Questa trama complessa e stratificata si traduce in una forma di storytelling che i brand oggi cercano disperatamente di replicare. 

Il videogioco non si limita a raccontare: costruisce un mondo. L’utente, come il consumatore,non si limita a uno sguardo passivo: vive. Per il marketing, significa smettere di vendere prodotti e iniziare a costruire esperienze.

Branding e Videogiochi

Il marketing digitale oggi studia le modalità di comportamento, cerca di capire non solo cosa vogliamo, ma come lo vogliamo. 

I videogiochi sono diventati una chiave di lettura privilegiata: perché il loro linguaggio è familiare a generazioni intere, perché offrono interattività, gratificazione, partecipazione.

La serie televisiva di "The Last of Us" dimostra che l’universo del gaming è ormai parte della cultura pop. Pedro Pascal e Bella Ramsey, candidati all’Emmy, incarnano due personaggi diventati archetipi: Joel, il protettore che fa scelte difficili, ed Ellie, la speranza incarnata. I brand moderni devono imparare da questo esempio: scegliere un’identità e portarla avanti con coerenza, in barba a ogni difficoltà

Il branding di The Last of Us

Un tempo si parlava di testimonial. Oggi si parla di gameplay. L’inserimento di prodotti in contesti videoludici (in-game advertising), la creazione di videogiochi promozionali (advergaming), o le collaborazioni tra brand e franchise famosi (si pensi alle skin dedicate nei giochi online) sono strategie in grado di parlare ai consumatori in modo naturale.

"The Last of Us" riesce a trasmettere valori – lealtà, sacrificio, umanità – attraverso la costruzione di momenti emotivamente potenti, come nel caso dell’episodio dedicato a Bill e Frank. In un mondo dominato da contenuti effimeri, la profondità narrativa diventa un asset di branding.

The Last of Us

Pedro Pascal e Bella Ramsey non sono solo attori: sono volti che comunicano, che costruiscono empatia. Nella comunicazione digitale, questo si traduce nella necessità per le aziende di mostrarsi, di uscire dall’anonimato corporate.

Il digital marketing ha imparato che i contenuti autentici – quelli che mostrano fallimenti, emozioni, successi – funzionano più di mille slogan. Il volto umano, come quello di Joel nel sesto episodio della seconda stagione o le reazioni emotive di Ellie, diventa l’anello di congiunzione tra il mondo narrativo e il mondo reale.

Branding e Videogiochi

L’elefante nella stanza è chiaro: i videogiochi non sono più un settore di nicchia. Sono un ecosistema vasto, frequentato da milioni di persone ogni giorno, dove il tempo speso equivale a fiducia guadagnata.

I brand che vogliono restare rilevanti devono entrare in questi mondi, ma farlo con rispetto. Come Joel ed Ellie entrano nei territori sconosciuti con cautela, così le aziende devono imparare ad ascoltare prima di comunicare.

Personaggi come Abby, che nel sesto episodio della seconda stagione dividerà i fan, ci ricordano che anche la polarizzazione fa parte del gioco. Meglio una reazione forte che l’indifferenza.

Oggi, quando un’azienda decide di produrre un videogioco, non sta semplicemente pianificando la realizzazione di un software. Sta costruendo un ecosistema narrativo e commerciale. Fin dalle prime fasi progettuali, ogni dettaglio viene pensato e cesellato per massimizzare la portata del business: non solo gameplay e grafica, ma merchandising, edizioni speciali, documentari dietro le quinte, art book, colonne sonore, serie TV, fumetti, contenuti esclusivi per la community e molto altro.

Nel caso di "The Last of Us", questa logica è evidente: la serie HBO è nata come espansione del mondo videoludico, ma è anche uno strumento di marketing per mantenere vivo il marchio e coinvolgere nuove fette di pubblico. Ogni elemento collaterale – dal podcast ufficiale alle interviste, dagli artbook alle mostre itineranti – è parte di una strategia dove nulla viene lasciato al caso e dove persino gli scarti creativi diventano risorse comunicative.

Questo approccio ricorda le filiere industriali più evolute, dove anche il residuo della lavorazione viene riconvertito e valorizzato. Allo stesso modo, nel marketing videoludico contemporaneo, ogni pezzo del puzzle narrativo ha un valore: economico, simbolico, emozionale. È una visione espansa e strategica della produzione, che sta trasformando anche il modo in cui si concepiscono e si lanciano i brand nei settori più disparati.

In questo scenario, il marketing non è più un'azione esterna al processo creativo: è parte integrante del progetto, fin dalle sue fasi iniziali. Ogni elemento viene concepito anche come potenziale contenuto promozionale. È un approccio industriale e raffinato insieme, dove nulla viene lasciato al caso e soprattutto nulla viene sprecato.

Nel caso di "The Last of Us", il marketing collaterale si manifesta attraverso contenuti di backstage, art book illustrati, colonne sonore vendute separatamente, interviste agli sviluppatori, sondaggi per la community, edizioni da collezione con oggetti fisici. Tutto viene pensato per generare valore, economico ma anche narrativo. Persino ciò che un tempo sarebbe stato scarto – una bozza, uno storyboard, una battuta tagliata – oggi diventa contenuto.

Si tratta di una logica simile a quella di una moderna filiera industriale: come negli impianti in cui gli sfridi di produzione vengono trasformati in nuovi materiali, anche nel marketing videoludico tutto viene recuperato e riconvertito. È una cultura della valorizzazione che sta influenzando anche altri settori del branding: moda, editoria, automotive. Il risultato? Un racconto corale, complesso, che avvolge il pubblico da ogni lato e trasforma ogni oggetto, ogni dato, ogni frammento, in una leva relazionale e commerciale.

Questo è il futuro del marketing: non più una singola campagna, ma un ecosistema.

"The Last of Us" ci insegna che il modo in cui viviamo le storie sta cambiando. Con esso, cambia anche il modo in cui i brand devono comunicarle. Oggi il pubblico non vuole più sentirsi raccontare qualcosa: vuole emozionarsi, partecipare, scegliere.

In questo senso, i videogiochi sono il laboratorio più avanzato per testare forme nuove di storytelling e coinvolgimento. E se anche la tua azienda vuole imparare a trasmettere valori, comunicare informazioni e progettare esperienze memorabili, è il momento di agire.

D’altronde, se un videogioco riesce a insegnarci più sull’empatia, sull’identità e sul valore umano rispetto a molte campagne pubblicitarie… non è forse giunta l’ora di ripensare il tuo modo di comunicare? Contattaci ora!

Siamo pronti a narrare il tuo prossimo progetto marketing.